La Tosca, il celeberrimo melodramma di Giacomo Puccini, un’opera ricca di tensione e colpi di scena, ebbe inizio a Milano nel 1889, dove Puccini assistette a una recita della Tosca in lingua originale in cinque atti, di Victorien Sardou (1831-1908), ambientato nella Roma di fine settecento e inizio ottocento, ancora papalina ma nell’attesa di essere “liberata” dalle truppe napoleoniche.

Puccini così si innamorò del soggetto a prima vista, ma tra ripensamenti, incertezze e anche lamentele di Sardou,  il musicista lucchese non era ancora abbastanza rinomato ed ebbero la precedenza Manon e Bohème . Tosca fu così la terza di un trittico davvero eccezionale, che premiò Puccini collocandolo tra i primi musicisti europei dell’epoca, realizzando così il progetto di Giulio Ricordi di farne l’erede di Verdi, grazie all’entusiasmo e gli applausi del pubblico.

Del resto, dopo aver scritto a proposito di Tosca “ Questa musica la può scrivere Dio e poi io” , appena un mese dopo l’entrata in scena in teatro se ne usciva fuori con “Tosca mi pesa sulla coscienza come un peccato grave! La falsità del tema mi ripugna e vorrei non sentire più quest’opera”.

Falsità? in parte si, ma c’è  da sottolineare il fatto che Luigi Illica e Giacomo Giacosa,  avevano fatto grandi passi nella semplificazione e scorrevolezza del testo: da cinque atti a tre e da 23 personaggi a nove, dove quelli principali sono solamente tre: il pittore filo francese Cavaradossi, la bella cantante Floria Tosca e il malvagio barone Scarpia.

Puccini si occupò moltissimo del colore locale e ogni minimo dettaglio pur di realizzare una perfetta corrispondenza tra l’azione scenica e la realtà storica. Se fughe, esecuzioni e torture si succedono nell’opera in modo quasi maniacale, necessitavano se non altro di una collocazione storica precisa in cui inquadrare il dramma dei personaggi. Lo scrupolo di Puccini si spinse fino ai  paramenti sacri: ancora alla vigilia della prima, il compositore  insisteva  perché i bozzetti dei costumi (in particolar modo i paramenti liturgici) fossero basati sulla ricerca  e sulla  documentazione storica.

Per realizzare  il colore locale nella musica, Puccini volle ascoltare personalmente l’effetto delle campane mattutine dai bastioni di Castel Sant’Angelo (per l’introduzione del terzo atto) e si dcumentò scrupolosamente sulla liturgia del Te Deum che chiude il primo atto. I versi del pastorello all’ inizio del terzo atto furono scritti da Luigi Zanazzo, poeta romanesco che si considerava erede di Trilussa; e naturalmente il maestro non rinunciò a insistere su alcune modifiche del libretto con disappunto di Illica che, dopo la prima (dall’esito incerto e un po’ freddino) al Costanzi di Roma (14 gennaio 1900) in una lettera a Ricordi accuserà Puccini di averli trattati come “servitori di scena”. E per certi aspetti non aveva tutti i torti!

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