Sono trascorsi oramai 7 anni da quel drammatico 15 aprile 2013, giorno in cui a Boston si teneva la 117esima edizione della famosa maratona cittadina. 

Alle ore 14.49 (ora locale), 20.49 in Italia, avvenne l’impensabile: due bombe, a distanza di 12 secondi l’una dall’altra, vennero fatte esplodere vicino al traguardo, nella frequentatissima Boylston Street. Gli ordigni erano stati nascosti in due zainetti, posizionati ad una distanza di 170 metri l’uno dall’altro. Si trattava di due pentole a pressione riempite con chiodi, pezzi di ferro, bulloni, viti e polvere da sparo il cui fine era soprattutto quello di mutilare il maggior numero di persone possibile.                                                              

 Il loro effetto, raccontarono i medici presenti alla tragedia, fu devastante. Le vittime furono tre: l’americana Krystle Marie Campbell (29 anni), la cinese Lu Lingzi (23 anni) e un bambino americano di 8 anni, Martin William Richard. I feriti furono 264, molti dei quali subirono amputazioni alle gambe.

Il 18 aprile, tre giorni dopo l’attentato, iniziò la caccia ai responsabili: due fratelli ceceni, Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, rispettivamente di 26 e 20 anni, furono identificati dall’FBI come i colpevoli della strage. Il primo venne ucciso durante uno scontro a fuoco con la polizia mentre il secondo fu arrestato e condannato a morte. 

Dopo l’arresto, fu lo stesso Dzhokhar a dichiarare che le motivazioni che li avevano spinti a compiere tale gesto furono sostanzialmente due: la presenza militare dei soldati americani in territorio iracheno e afghano e una politica di cospirazione contro i musulmani. 

Pronunciata la sentenza, Dzhokhar si scusò con le famiglie delle vittime e con i sopravvissuti della strage, riconoscendo di aver causato loro un danno irreparabile e aperto una ferita così profonda che non si sarebbe comunque potuta rimarginare.  

 Ancora oggi, non è certo se l’imputato verrà giustiziato: ha fatto appello e il suo caso deve passare attraverso procedure che potrebbero durare diversi anni. Al momento è detenuto nel carcere di massima sicurezza a Florence, in Colorado.

Il 15 aprile è diventato per la  capitale del Massachusetts il “One Boston Day”: migliaia di persone e maratoneti da tutto il mondo accorrono per prendere parte a una della manifestazioni più importanti degli Stati Uniti dove si rende onore alle vittime e ai feriti dell’attentato. La città organizza eventi di beneficenza per aiutare i più bisognosi grazie a donazioni di sangue, di vestiario e di altri beni di prima necessità.

Da allora lo slogan “Boston strong” è divenuto il motto ideale di ogni bostoniano: un simbolo di rinascita e di rivincita, per dimostrare che la città ha scelto di non piegarsi alla paura e all’orrore del terrorismo, bensì, nonostante siano passati 7 anni, a mantenere vivo il ricordo di quelle anime innocenti che persero la vita ingiustamente in quel doloroso giorno.

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