Un viaggio che dura ormai da vent’anni, quello del capitano (poi colonnello) Bruno Arcieri, protagonista ancora una volta dell’ultimo romanzo di Leonardo Gori, Il ragazzo inglese, in uscita nelle librerie già dallo scorso 25 Giugno. “A Nero di maggio sono seguiti molti altri titoli, e quel personaggio che non doveva durare non ha voluto saperne di lasciare le mie storie” scriveva lo stesso Leonardo Gori nel suo messaggio ai lettori in occasione dell’uscita de Il ragazzo inglese. Quest’ultimo, edito da Tea Libri, è l’ultimo capitolo (non in senso temporale) delle avventure di Bruno Arcieri, una storia iniziata ormai nel 2000 con la pubblicazione di Nero di maggio nella collana “Giallo & Nero”. Un’uscita che ha sancito la nascita del mito dell’ufficiale dei carabinieri e del grande interesse dei lettori, fiorentini e non solo, per un personaggio che si vede già protagonista di ben dodici romanzi (nuovamente tutti in libreria con le riedizioni per Tea).
Un capitano Arcieri sicuramente più diretto che ci rivela un qualcosa di intimo ma di molto importante, costretto ad affrontare la situazione che lo circonda, alla ricerca di una salvezza fisica e morale che sembrano ormai irraggiungibili. Una vicenda coinvolgente che intreccia il destino di un paese sull’orlo della guerra e tutta una serie di personaggi ambigui, sfuggenti e in certi casi alla ricerca di una possibile salvezza.
Il romanzo si svolge nell’Aprile del 1940, momento chiave per l’Italia di Mussolini che doveva prendere la decisione se entrare in guerra insieme alla Germania o meno. Il capitano Arcieri si trova a Firenze con la sua amata Elena che risente in maniera sempre più opprimente le pressioni del lavoro e lo shock delle leggi razziali, essendo lei di origini ebraiche. Bruno, mosso da un grande senso di colpa e animo nobile, per poter alleviare la sofferenza della sua signora, l’asseconda in ogni suo agire e pensare, accettando così l’invito ad accompagnarla ad una serata con alcune amiche inglesi di Firenze. Un avvenimento del tutto innocuo se non fosse che la proprietaria di casa, Barbara nasconda un doppio fine che poi darà vita a tutta la vicenda. Un ragazzo inglese che la donna considera come un nipote, il cui nome è Johnny, a cui vorrebbe risparmiare l’inevitabile arruolamento nell’esercito. Per poterlo fare Barbara chiede aiuto a Bruno, ma il capitano con forte sentimento di orgoglio vede tutto ciò come una vera e propria diserzione, ritenendosi offeso da tale richiesta. Ma Arcieri cambierà opinione in seguito alla scoperta di cosa il ragazzo intende offrire in cambio di una nuova identità per sé e per la sua compagna. Sorgono misteriosi interrogativi: Cosa offre Johnny e chi è realmente? Il comandante di Arcieri perché si dimostra così interessato e coinvolto nella vicenda?
Ma lasciamo adesso che sia lo stesso Leonardo Gori a parlarci del suo ultimo libro, dopo aver gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda.
Come mai la scelta del 1940 come sfondo storico?
Le mie storie con Bruno Arcieri seguono due “filoni” paralleli: il primo è quello degli anni Trenta e Quaranta, con il protagonista giovane, in forza al SIM, il Servizio di Informazioni Militare. Il secondo si svolge negli anni Sessanta del Novecento, con Arcieri colonnello in pensione e una vita totalmente diversa dalla precedente – è diventato addirittura ristoratore – ma spesso ancora invischiato nelle trame occulte d’Italia. Procedendo di anno in anno, dopo il 1939 de “La nave dei vinti”, il romanzo precedente, ero arrivato giust’appunto al 1940 e non potevo certo saltarlo…
Ma, ovviamente, c’è un’altra ragione, molto più importante. Amo ambientare le mie storie nei momenti di “svolta”, di crisi, quando finisce un mondo e ne inizia un altro: in questo modo, la tensione del periodo storico entra in risonanza con quella della mia storia d’invenzione, mantenendo alto il livello emotivo della vicenda narrata. La cosa più importante è proprio comunicare delle emozioni, farle passare attraverso il difficilissimo filtro della pagina scritta. Il 1940 è l’anno del non-ritorno, per l’Italia fascista (e non solo, ovviamente), e lo è anche per Bruno Arcieri, che da agnostico, potrei dire, ha progressivamente maturato una sua coscienza politica.
Quanto e come ha influenzato questa scelta nella trama del romanzo?
La trama di un romanzo è l’impalcatura su cui si costruisce l’edificio narrativo: deve essere schematica ma solida; deve dare l’immagine, la percezione, l’odore del tempo in cui è ambientata, l’illusione della realtà, e per questo deve basarsi su un’accurata documentazione. Scegliere il 1940, come ho detto prima, vista la densità straordinaria degli avvenimenti storici di quell’anno, ha profondamente condizionato la trama. Ne “Il ragazzo inglese”, sull’orlo dell’abisso, in quel periodo misconosciuto ma interessantissimo della “non belligeranza”, Bruno Arcieri coglie la mortificazione che la dittatura induce negli animi e nelle coscienze. Resta però il fatto che “Il ragazzo inglese” si occupa di paure, pulsioni, speranze, disillusioni che non hanno tempo. Aver unito, nella scrittura, l’una e l’altra cosa, è stata la sfida più difficile e appassionante.
Bruno Arcieri è senza dubbio la sua creatura più “celebre”; come è cambiato attraverso il tempo? Che tipo di personaggio è in questo romanzo?
Bruno è cambiato moltissimo. Ha maturato una coscienza politica, come dicevo prima; si è aperto al prossimo, ha fatto cadere molte delle sue difese, ha cercato di comprendere il punto di vista degli altri. Ha cambiato lavoro, amici, amori. Il bello è che all’inizio non avevo alcuna intenzione di farne un personaggio “seriale”, come si dice, ovvero ricorrente: doveva servire da “spalla” a un gerarca senza nome, che era il vero protagonista di “Nero di Maggio”, ambientato nel 1938, il romanzo d’esordio. Libro dopo libro, invece, ho dovuto farci i conti, e mi ha raccontato parti sempre più importanti di sé, scavando nel proprio intimo, rivelandomi un personaggio di una complessità che assolutamente non sospettavo: chi avrebbe mai pensato che nel 1968 avrebbe abitato in una comune e fumato uno spinello? Ma forse si è fatto solo più trasparente, mostrando a me e ai lettori la sua vera natura. E’ una scoperta che non cessa di stupirmi. Ne “Il ragazzo inglese”, Bruno Arcieri è un uomo ancora tutto d’un pezzo, legato ad alcuni valori tradizionali che ritine ancora fondanti (la Patria, l’onore, l’onestà…) ma che sta iniziando a mettere in discussione; è sopraffatto dai sensi di colpa per le leggi razziali (promulgate nel 1938) che colpiscono il suo amore, Elena Contini, ebrea; è ormai su posizioni assai critiche nei confronti del Fascismo, che tre anni dopo finirà per combattere sul campo.
Siamo ormai arrivati alla dodicesima avventura di Bruno Arcieri: dopo così tanti romanzi su un unico personaggio per non essere ripetitivo, quali sono le sue fonti di ispirazione quando scrive?
Quando mi accorgerò di ripetermi davvero, abbandonerò il personaggio. Per ora, bruno Arcieri ha sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi. Le idee mi arrivano dalle fonti più disparate: quella “forte”, che fa da “baricentro emotivo” al romanzo, è sempre basata su uno degli elementi di base, i più antichi, del racconto: amore, odio, vendetta, coraggio, paura… Ma tutto il resto, che costituisce il tessuto su cui è ricamata la storia, mi può arrivare dalla lettura di un saggio, magari da una nota a piè di pagina, in carattere minuscolo; dalla scena di un vecchio film, da un fumetto o da mille altre cose. E’ casuale e misterioso, arriva quando meno me lo aspetto, e se mi sembra che quella particolare “ispirazione” possa funzionare, e reggere trecento pagine, allora la metto alla prova. A volte uno spunto apparentemente formidabile si rivela buono tutt’al più per un breve racconto, oppure si sgonfia in nulla, come un palloncino. Altre volte accade l’opposto, e un aspetto secondario prende il sopravvento e governa il romanzo. In ogni caso, tutto viene dalla lettura, intesa in senso ampio, unita ai miei ricordi personali, a quelli che mi sono stati raccontati e affidati, miscelati dal motore più forte, che resta comunque sempre quello dell’immaginazione.