Durante il tardo pomeriggio del 4 agosto, tra una boccheggiata per il caldo estivo tipicamente italiano e una partita a carte con gli amici, cominciano a circolare sui social network e sui telegiornali le impressionanti immagini della capitale libanese Beirutdue violentissime esplosioni hanno spazzato via metà della città. Questo scenario post apocalittico conta, secondo la Croce Rossa libanese, circa 140 morti e 4 mila feriti (compreso un militare italiano) i quali non potranno fare affidamento su 3 ospedali rasi al suolo e altri 2 che riportano danni ingenti, oltre a 100 persone disperse e più di 300 mila abitanti senza un tetto sulla testa.

Nonostante le cause siano ancora ricoperte da un velo di incertezza, è abbastanza chiaro che a dar vita a queste esplosioni di proporzioni cinematografiche, con epicentro nel trafficatissimo porto di Beirut, siano state 2700 tonnellate di nitrato di ammonio sequestrato a dei contrabbandieri e conservato in dei container in maniera superficiale ormai dal 2013. Donald Trump si è sbilanciato frettolosamente ipotizzando la causa dell’incidente come “Una bomba di qualche tipo”. Innegabile il fatto che questa sostanza esplosiva sia spesso coinvolta in attentati terroristici come la strage di Oklahoma City del ’95, ma sono proprio tre fonti della difesa USA che ritengono tale teoria barcollante, con poche prove a sostenere la tesi. Le autorità libanesi, invece, protendono per un incidente nato da  lavori di saldatura in un deposito di fuochi d’artificio molto vicino al nitrato. Col senno di poi ha poca importanza la natura dell’esplosione: in ogni caso ha inizio una caccia alle streghe per capire su chi graveranno queste responsabilità.

Le esplosioni, ovviamente, non hanno generato solo morte e devastazione, ma anche grande paura: con una potenza simile a quella di un terremoto di magnitudo 3,3 si parla di un rombo potentissimo percepito addirittura a Cipro, a più di 240 chilometri di distanza sul mare, ma soprattutto del rilascio di gas tossico arancione, tipico di una reazione del genere alla quale partecipano dei nitrati. Dopo una prima fase di panico, durante la quale la situazione è stata gestita con le pinze, l’allarme fortunatamente è rientrato: una parte del gas si è depositato a terra nei pressi del porto, mentre l’altra si è diffusa nell’atmosfera una volta portata via dal vento, con una concentrazione che si attesta sotto il livello di allerta.

Il famigerato 2020 ha colpito ancora, stavolta, però, ha attaccato senza pietà un fianco scoperto: le due esplosioni sono solo la miccia accesa di una bomba ad orologeria come il Libano.

Il Paese dei Cedri fin dalla sua nascita nel 1920 distaccatosi dalla Siria con appoggio della Francia, ha sempre avuto due anime e quella più rumorosa è sempre stata quella caratterizzata delle bombe e dalle incessanti guerre, portando lo stato sempre sul filo del rasoio. Dagli anni ’90, terminata l’estenuante Guerra del Golfo protrattasi per vent’anni, il Libano ha continuato pian piano a dirigersi verso il tracollo finanziario: un paese che non produce più nulla e che importa tutto ciò che consuma importa, un paese la cui moneta ha perso l’80% del suo valore e che ha visto triplicare i suoi prezzi negli ultimi mesi. Eppure negli anni settanta del secolo scorso era chiamato la Svizzera del Medio Oriente!

Nonostante le acque non siano mai state calme, in un cocktail esplosivo costituito da un paese variopinto come il Libano, tra cristiani, sciiti e sunniti, quel fragile ma resistentissimo sentimento di unione tra i giovani scesi in piazza a protestare sembrava indissolubile.

Poi il covid-19 ha reciso anche quel debole legame e ha dato quella che sembrava essere la mazzata finale. I casi positivi non accennano a diminuire e con essi la crisi economica diventa un vero e proprio abisso: oltre il 50% della popolazione è sotto la soglia della povertà, le luci nelle case si spengono e forse non si accenderanno più. Infine, con il tragico incidente del 4 agosto si stimano danni tra i 3 e i 5 miliardi di dollari. Ma la piaga più spietata, secondo lo scrittore Dominique Eddé, è che un paese lontano dai riflettori come il Libano “Non ha più molti amici e neanche nemici. Suscita indifferenza, ed è la cosa più terribile”. Forse, ironia della sorte, è stata un’esplosione ad attirare finalmente un po’ l’attenzione.

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