9 aprile 1821, Parigi. Nasce Charles Baudelaire: scrittore, critico letterario, giornalista, saggista, poeta capostipite del Decadentismo e Simbolismo.

Suo padre muore quando è ancora piccolo e il grande artista entra in possesso di una parte dell’eredità che dissiperà in poco tempo a causa, soprattutto, dei così detti paradisi artificiali di cui faceva uso: stupefacenti e alcol.

L’assunzione di queste sostanze in Baudelaire deriva dalla necessità di fuggire dalla realtà splenetica. L’uomo non riuscendo a raggiungere l’Ideal, l’infinito, la bellezza, tutto ciò che vale la pena vivere, cade nello Spleen, la noia, il disgusto della vita, la totale mancanza di sensazioni che potremmo paragonare al tedio leopardiano.

Il Poeta è come lui, principe delle nubi

Che sta con l’uragano e ride degli arcieri;

Esule in terra fra le grida di scherno,

Le sue ali da gigante gli impediscono di camminare.

(L’Albatro, sezione Spleen e Ideale)

Qui viene descritta la condizione del poeta nella società moderna, borghese, l’artista viene considerato come una persona qualunque, non è più un privilegiato, viene visto come un esule dalla terra, un fuoricasta, la sua arte viene ridotta in merce.

L’Albatro fa parte della raccolta Les Fleurs du mal (I Fiori del male), pubblicata per la prima volta nel 1857 e composta da cinque sezioni; l’opera suscitò però grande scandalo, venne considerata oscena, subì una revisione e venne pubblicata in una seconda edizione nel 1861, con l’aggiunta di trentacinque testi e una sezione.

È nella sezione La Morte che troviamo Il viaggio: O Morte! […] Su, versaci il veleno perché ci riconforti!

Se anche a noi, figli di questo tempo, a volte capita di voler scappare da una vita in cui non ci riconosciamo, sicuramente Baudelaire non ci consiglierebbe di partire, lui si rende infatti conto che la condizione umana è la stessa in ogni parte del mondo, anche nei luoghi esotici da cui rimase affascinato durante il Grand Tour che lo portò fino al Madagascar. L’unica soluzione per lui è infatti l’inconnu, ciò che non possiamo conoscere, lo sconosciuto che troviamo solo nel viaggio verso la morte.

Per certi aspetti i temi baudelairiani si potrebbero sicuramente ritrovare nella realtà odierna.

Oggi l’uso di stupefacenti è un argomento ancora molto sentito, secondo i dati risalenti al 2019 una persona su tre (tra i 15 e i 64 anni) ha fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita e nel 2017 i morti totali per droga nel mondo sono stati 585.000. Ma perché questo abuso? Anche chi ne fa uso ai giorni d’oggi si è accorto che la ricerca dell’Ideal è invana? Baudelaire, che si spense nel 1867 dopo essersi bruciato la vita con i vizi, ammise che i così detti paradisi artificiali sono delle trappole. Si rese conto, anche se troppo tardi, che portano a un piacere momentaneo, non duraturo e quindi probabilmente consiglierebbe di smettere.

Inoltre, egli vede la megalopoli, la grande città, come un qualcosa che tende ad alienare e che è destinato a una fine in quanto culmine dell’artificiale; anche in questo possiamo definirlo una sorta di veggente.

Già nell’Ottocento si era reso conto di ciò che noi stiamo capendo solo negli ultimi decenni.

Le città sono destinate a finire a causa di ciò che l’uomo sta costruendo. L’avvento delle industrie, l’eccessivo uso delle automobili, la grande produzione di plastica sono solo alcune delle cause che fra non troppo tempo potrebbero condurre alla distruzione del nostro pianeta. Oggi possiamo considerare la terra come una grande unica megalopoli. Se non iniziamo ad attuare almeno alcuni degli accorgimenti che ci vengono consigliati dagli esperti, tra non molto quello che è stato definito l’Earth Overshoot Day (giorno in cui il nostro pianeta termina le risorse che è in grado di rigenerare in un anno) sarà sempre più in anticipo.

In questa situazione critica probabilmente Baudelaire ci consiglierebbe di consolarci con un po’ di musica di Wagner, il poeta fu infatti uno dei primi a comprendere il valore musicale di questo importante compositore: Anzitutto vi devo confessare che vi sono debitore del godimento musicale più profondo ch’io abbia mai provato.

(Lettera di Baudelaire a Wagner, 17 febbraio 1870)

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