Ci lascia più di un secolo fa Émile Zola, che col potere della parola ritrae una società degradata per salvarla. In parte ha fallito, si potrebbe dire, ma la sua oggettività scava nell’autenticità umana delle sue passioni e crudeltà, avvicinando i lettori ad essa. Conoscerla fa riflettere, magari anche crescere e migliorare!

Tutt’altro che tempo sprecato, tutt’altro che un seccante mezzo per campare a scuola, studiare il suo pensiero. Certo, ci sono molti altri artisti che come lui hanno avuto o hanno tutt’ora il potere di trascinarci e immergerci in una consapevolezza nuova e più profonda, e in fondo è questione di gusti scegliere chi seguire. Tuttavia, in memoria di questo scrittore, giornalista e filosofo considerato il massimo esponente del Naturalismo francese, male non fa ricordarne la vita e le imprese.

Nato a Parigi il 2 aprile 1840 da un ingegnere italiano naturalizzato francese e una donna di umili origini, cresce vagabondo perché il padre deve viaggiare per lavoro, fino alla sua morte nel 1847.

A dodici anni entra nel Collège Bourbon in Aix-en-Provence, dove conduce un’ottima carriera scolastica e già allora, secondo alcuni biografi, manifesta la sua vocazione da scrittore, componendo un lungo romanzo storico e una commedia, di cui però non resta traccia.

Qui stringe la duratura amicizia con i futuri pittore Paul Cézanne e fisico Jean-Baptistin Baille, accomunati da interesse per lo studio e sensibilità spirituale.

Le ristrettezze economiche e le numerose ma fallimentari battaglie legali della madre per ottenere sostegno economico portano la famiglia (Émile, madre e nonno) a trasferirsi a Parigi nel 1858. Nella grande metropoli il giovane si sente spaesato, preoccupato per le difficoltà economiche e circondato da nuovi compagni di studio, più ricchi e preparati di lui. Imprigionato in un complesso di inferiorità a cui non era abituato in provincia, rimane tuttavia notevole il suo talento letterario notato dal professore Pierre-Émile Levasseur .

L’insegnante “sovversivo” per le teorie sul collegamento tra politica, economia e sviluppo socio-culturale che trapelavano dall’insegnamento, influenza le convinzioni di Zola anche da adulto.

Dopo l’impegnativo anno parigino, torna dai suoi amici ad Aix. Al ritorno a scuola è allettato da una grave malattia per settimane, tornando a scuola solo a gennaio. In questo periodo sfiora la morte, ma l’autore racconta di esserne uscito rinato, con immaginazione rinvigorita. I suoi componimenti giovanili sono poesie, racconti, poemi e opere teatrali dal gusto romantico vagamente autobiografico in certi casi con trame crude e amare, le stesse che caratterizzeranno i lavori maturi.

In questo periodo si disinnamora della scuola, preferendo scrivere e studiare da autodidatta. Viene così bocciato due volte, il che dimostra che non serve un curriculum scolastico vertiginosamente perfetto per diventare qualcuno, in positivo, s’intende: per questo l’impegno è una condizione necessaria, non riuscire in tutto senza esitazione.

Nel 1860 inizia a lavorare nel campo amministrativo: una vera tortura per lui, che si sente alienato e annoiato, ma ci è costretto per mantenere la famiglia ormai indigente.

Abbandona però il lavoro poco dopo, dedicandosi alla letteratura, aggiornandosi sulle dottrine positiviste che lo affascinano e influenzano. Inizia poi una relazione con una donna dal temperamento libero e scostumata fino all’eccesso; Zola è legato a lei da attrazione e curiosità, ma anche da intento moralizzatore: gli stessi elementi che lo porteranno a scrivere degli aspetti turpi della sua società.

Nel 1862 comincia a lavorare presso la prestigiosa casa editrice Hachette prima con incarichi secondari, poi come redattore e infine direttore della pubblicità. Spicca infatti per lo spirito di iniziativa e dimostra abilità. Il lavoro gli permette inoltre di entrare in contatto con autori e di pubblicare i propri lavori: comincia così la sua attività giornalistica che non abbandonerà fino alla morte.

Il primo importante romanzo, La Confession de Claude (1865), è senza lieto fine e riflette un’avvilente società che priva il singolo della purezza originaria, e fa guadagnare, sebbene in odore di scandalo, una certa notorietà letteraria al giovane.

Nel 1866 cambia editore e si occupa di critica d’arte, opportunità che si rivelerà per lui tesoro, per il pubblico benpensante di allora un terribile problema: nei suoi articoli difende e mostra il suo amore per l’emergente pittura impressionista (di cui Édouard Manet fu l’iniziatore), che come la corrente del Naturalismo va contro il convenzionale, verso la rappresentazione della realtà quotidiana, e genera quindi perplessità nella maggior parte del pubblico, chiuso alle novità.

Ritratto di Émile Zola (1868) di Manet

Inizia così la lunga amicizia tra Manet e Zola, il quale è costretto a sospendere la rubrica per il suo giudizio contrario a quello di chi, autorevole e forte di consensi, deride e osteggia l’allontanamento dalle regole accademiche in pittura. L’ostilità altrui tuttavia non ferma Zola che pubblica uno studio su Manet.

Nello stesso anno si trova in ristrettezze economiche per la soppressione del quotidiano per cui scriveva.

Scrive per guadagnare: esce così a puntate tra 1867 e 1868 Les Mystères de Marseille (I Misteri di Marsiglia) e Thérèse Raquin composto nello stesso periodo e definito putrido: entrambi i romanzi, pur soddisfacendo l’autore e definiti poi di impronta naturalistica, non riscuotono successo. L’insuccesso è dovuto all’erroneo pregiudizio di chi pensa che descrivere qualcosa di spregevole implichi esserlo e non è aperto alle novità, né alle realtà scomode. Esce poi il romanzo Madeleine Ferat (1868), che ottiene successo trascurabile sempre per l’approccio originalmente scientifico.

In questo periodo studia e coltiva i suoi interessi per introspezione psicologica, analisi di costume e critica d’arte, continuando a collaborare con vari giornali. Approfondisce le sue conoscenze a proposito di ereditarietà dei caratteri e sociologia (studi nati di recente perché la scienza sta prendendo piede in ogni campo); queste gli serviranno come basi scientifiche per la sua nuova idea: realizzare un grande ciclo di romanzi su una famiglia del periodo del Secondo Impero (1852-1870), da cui nasce Les Rougon-Macquart, ciclo che conta ben venti romanzi scritti tra 1870 e 1892. Esso è per certi versi analogo alla Commedia Umana di Honoré de Balzac, però ambientato nel periodo del Secondo Impero invece che della Restaurazione.

Nel 1870 sposa Alexandrine Meley ma intratterrà di nascosto una relazione extraconiugale con una sarta da cui ebbe due figli.

In questo periodo si impegna politicamente prendendo posizione di liberale moderato, antimperialista, osservatore ironico e indipendente; la presa di posizione gli crea inimicizie e ammiratori. In seguito si avvicinerà a socialismo e marxismo, sebbene gli venga accusato il pessimismo nel delineare la classe operaia non in linea con tali ideologie.

Nel 1880 viene pubblicato il suo manifesto letterario (e quello del Naturalismo) nato dall’insieme di conoscenze acquisite nel corso di anni: Il romanzo sperimentale, saggio che influenza la produzione letteraria dello stesso e di altri suoi seguaci, tra cui i veristi in Italia: l’idea, semplificando, è quella di creare un romanzo come si allestisce un esperimento, osservando la società e costruendo di conseguenza i personaggi, visti come “reagenti” nell’esperimento  dello stesso romanzo. Lo scrittore è infatti come uno scienziato che riporta ciò che osserva in modo oggettivo indagando sulle cause dei fenomeni sociali così da riformare le situazioni problematiche migliorandole. Attribuisce quindi a oggettività e ricerca della verità un ruolo primario nella nuova concezione del romanzo.

Caricatura di Zola

Finito il primo ciclo di romanzi lavora dal 1893 a Tre città (che finì nell’Indice dei libri proibiti per la polemica al cattolicesimo) e a I quattro evangeli (1898-1902) in cui invece cerca di amalgamare socialismo con aspetti reputati migliori del cristianesimo. 

Pornografo e altri epiteti poco lusinghieri gli furono affibbiati per aver mostrato la corruzione della società, e in particolare di un’ipocrita borghesia devota al vizio di fatto, ma mascherata di incorruttibilità da convenzioni sociali; persevera comunque per la sua strada disinteressandosi delle critiche maligne. Anche la posizione presa nel caso Dreyfus nel 1898 lo dimostra: nello stesso anno si rimette fervidamente al lavoro nel giornalismo in difesa di Alfred Dreyfus, con l’unica ambizione che giustizia sia fatta. Il capitano di origini ebree da Zola difeso era accusato di essere una spia al servizio della Germania. Alla fine fu condannato (ingiustamente!); dietro a una questione che può purtroppo sembrare comune e finita lì si nascondono antisemitismo e preparazione al conflitto: sulla progredita e civilizzata società della seconda metà del XIX secolo imperversava tuttavia un cancro di odio e fanatismo.

Zola rischia in questo caso il carcere per le sue idee (espresse esplicitamente in J’Accuse…!, celebre lettera al Presidente della Repubblica Francese) e fugge in Inghilterra. Solo con l’amnistia del 1900 può tornare in Francia dove tuttavia lo accoglie un’aspra polemica da parte dei giornalisti colpevolisti e conservatori.

Il 29 settembre 1902 lo scrittore muore. La causa fu intossicazione da monossido di carbonio per un malfunzionamento del camino, ma non fu mai chiarito se fosse stato accidentale, date le inimicizie che si era creato nel corso della vita. Se da una parte gioirono della sua scomparsa in genere nazionalisti e antisemiti, dall’altra Zola fu ricordato in modo molto sentito anche fuori dalla Francia.

Si perse così non solo un illustre pensatore che rivelò un’epoca storica controversa e fortemente in contatto con la nostra per le questioni di progresso e destino umano, ma una persona rara nella sua ricerca e diffusione della verità nei lati anche oscuri e spiacevoli: era convinto che solo scoprendo i mali occulti si possono trovare strumenti necessari a combatterne le conseguenze negative.

Rimane comunque il dubbio sul potere della parola, in cui Zola, forse utopisticamente, credeva: davvero può cambiare il mondo, il contesto in cui la società vive? A cosa sennò si deve ricorrere per attuare un miglioramento? Inquietanti domande che tuttavia potrebbero lasciare il tempo che trovano, facendoci perdere nella pura utopia.

Le nostre scelte contribuiscono a costruire la realtà che viviamo, ma sembra inestirpabile l’imperfezione (o male che dir si voglia) dalla società, quanto meno inevitabile a volte un comportamento non esattamente integerrimo: non ci rimane che salvare il salvabile.

1 1 vote
Article Rating