Dante. Così è intitolato il nuovo film di Pupi Avati in uscita il 29 settembre. Il regista bolognese porterà sui grandi schermi la vita del Sommo Poeta raccontata dallo stesso Boccaccio, protagonista di un avvincente viaggio, alla ricerca della figlia di Dante, Suor Beatrice, in cui verrà a contatto con personaggi che hanno conosciuto direttamente l’Alighieri, ripercorrendo così numerosi momenti della vita del poeta fiorentino da quando, bambino, aveva perso la madre, fin all’incontro con Beatrice e alla sua prematura scomparsa, l’amicizia con Guido Cavalcanti, lo schieramento politico e l’esilio.

Il regista italiano, oramai dalla fama internazionale, studia Scienze politiche all’Università degli Studi di Firenze e inizialmente tenta una carriera nel jazz, a cui deve successivamente rinunciare a causa dell’ingresso nella sua band di Lucio Dalla al quale dedicherà poi una scherzosa dichiarazione.

«Il mio sogno era diventare un grande clarinettista jazz. Ma un giorno nella nostra orchestra arrivò Lucio Dalla. All’inizio non mi preoccupai più di tanto, perché mi pareva un musicista modestissimo. E invece poi ha manifestato una duttilità, una predisposizione, una genialità del tutto impreviste: mi ha tacitato, zittito, messo all’angolo. Io a un certo punto ho anche pensato di ucciderlo, buttandolo giù dalla Sagrada Familia di Barcellona, perché si era messo in mezzo tra me e il mio sogno.»

 Avati, dopo quattro anni come rappresentante della Findus, a sua detta gli anni peggiori della sua vita, tenta la strada del cinema illuminato dalla visione del film “8½” di Federico Fellini. Compie il suo esordio nel genere horror, con “Balsamus, l’uomo di Satana” (1968) e “Thomas e gli indemoniati” (1970). Prosegue la sua carriera sperimentando diversi generi e portando alla realizzazione di molti capolavori tra cui “La casa delle finestre che ridono”, “Regalo di Natale”, “Il cuore altrove” e “Il papà di Giovanna”. Pupi Avati ha anche lavorato come attore nei film “Case abbandonate”, regia di Alessandro Scillitani – documentario- (2011) e “Benvenuto Presidente!”, regia di Riccardo Milani (2013). Nel 1986 ha diretto un suo programma televisivo, Hamburgher Serenade, condotto da Nik Novecento, Beatrice Macola, Alfiero Toppetti e Gianfranco Agus.

Avati ha però come grande passione sin da sempre il Medioevo. Quest’ultima è nata grazie ad una collana di libri illustrati “La scala d’oro” che raccontava le vicende dei cavalieri della tavola rotonda. Da piccolo si è innamorato di questo mondo e nel tempo questa passione è diventata più consapevole e lo ha portato, attraverso studi e letture, alla realizzazione nel 1993 del film “Magnificat”, e successivamente “I cavalieri che fecero l’impresa”, assieme allo storico medievista Franco Cardini, divenuto amico del regista. Avati oltre ad essere un grande sceneggiatore e produttore, è anche uno scrittore e nel 2021 ha pubblicato il romanzo “L’alta fantasia” a cui si è direttamente ispirato per la produzione del film di Dante e del quale aveva pensato sin da subito alla trasformazione cinematografica.

 Il regista Avati ci ha concesso l’onore di un’intervista riguardo, per l’appunto, l’uscita del nuovo film.

Qual è il rapporto tra il film di Dante e il romanzo “L’alta fantasia”?

 «Il rapporto tra un romanzo e un film è sempre un po’ complicato da definire perché il romanzo ha una sorta di ampiezza e libertà, cioè quando scrivi un romanzo non ti crei problemi di quelle che sono le divisioni del tuo budget con i quali un cineasta deve fare i conti. Quindi, per esempio, la battaglia di Campaldino nel romanzo la descrivo, mentre nel film la racconto soltanto vocalmente, non la visualizzo perché le risorse per poter mettere in scena una battaglia medioevale fra gli aretini e i fiorentini di quelle dimensioni e violenza, è evidente che il cinema italiano difficilmente se lo può permettere. Non è un rapporto che descriverei riduttivo, però il cinema deve sempre fare i conti con la realtà, con i limiti di budget. Quindi tutte quelle cose che nel romanzo sono raccontate liberamente, io nel film le ho raccontate attraverso quelli che sono i limiti che ha un film italiano, pur avendo realizzato un film di grande respiro e con un budget inusuale perché ho avuto la fortuna di essere accompagnato da chi ha creduto in questo film.»

Aveva già in mente di trasformare il romanzo in film?

«Sì, sempre. Ho sempre pensato che l’operazione avrebbe dovuto essere conclusa solo nel momento in cui Dante fosse stato risarcito non soltanto dal romanzo ma anche da un film perché di romanzi su Dante ce ne sono un’infinità, mente di film no.»

 Il suo romanzo mostra come Boccaccio, uno dei primi studiosi di Dante, sia sempre stato un ammiratore del poeta. Questa ricerca di Boccaccio rispecchia anche il suo personale viaggio sulle tracce del poeta fiorentino?

«La scoperta di Boccaccio come esegeta, studioso e didattico di Dante, che ha dedicato i migliori anni della sua vita allo studio e alla promozione di Dante è stata recente, di una ventina di anni fa, quando io già amavo Dante avendo letto soprattutto la Vita Nova. Io ho scoperto questo viaggio che fece Boccaccio, allora ho pensato che fosse davvero una sorta di pellegrinaggio al poeta al quale aveva dato di più perché aveva copiato più volte la Divina Commedia, la Vita Nova e il De Monarchia. E scoprire che un poeta è tanto amato da un altro poeta mi è sembrata una storia estremamente commovente. Inoltre, mi permetteva di affrontare Dante, che è un personaggio incommensurabile, attraverso la mediazione di Boccaccio che invece, pur essendo uno straordinario poeta, è tuttavia umano. Boccaccio ha avuto la funzione di mediatore questo mi ha anche molto incoraggiato a raccontare questa storia, non l’avrei mai fatto se non ci fosse stato Boccaccio.»

Quindi diciamo che il suo rapporto con Dante è anche nato da questa grande stima di Boccaccio nei confronti del sommo poeta?

«Soprattutto molte delle cose che nel romanzo e nel film dice Boccaccio sono le cose che penso io.»

Dante è scuramente un personaggio molto complesso e particolare anche dal punto di vista diciamo umano, è stato difficile farne un personaggio da film?

«No, non è stato difficile perché Dante fa un proprio identikit all’inizio della sua professione di poeta attraverso quel prosimetro che è la Vita Nova. se leggi la Vita Nova capisci e desumi esattamente chi è stato Dante: Dante è stato un personaggio la cui vita è stata perennemente segnata dal dolore e il suo accesso alla poesia nella sua forma più alta viene attraverso il dolore.»

Il personaggio, quindi, è stato semplice da costruire…

«Non è stato semplice però mi sono identificato in lui quando ho letto la Vita Nova, perché la Vita Nova è un diario di un adolescente che racconta una sua storia d’amore perenne, che gli rimarrà dentro per tutta la vita, alla quale lui dedicherà l’opera somma della sua vita.»

Invece la scelta degli attori, Dante da giovane, Dante più cresciuto, è precisa, cioè è stato difficile, con quale criterio ha scelto gli attori?

«Ho scelto gli attori tenendomi un po’ alla larga da quell’iconografia punitiva che mostra Dante come uno degli uomini meno avvenenti che ci fosse sulla terra. Cioè io penso che quelle immagini, quei profili che poi sono sempre gli stessi… è molto scarsa l’iconografia dantesca, mostrano un essere umano veramente molto poco gradevole, poco piacevole nell’aspetto e anche la scuola ci ha insegnato che era un essere umano consapevole della sua onniscienza supponente, che stava molto sulle sue con la consapevolezza di rappresentare un’eccezionalità, io l’ho molto umanizzato, ho cercato di avvicinarlo anziché allontanarlo.»

Invece per quanto riguarda la scelta di Sergio Castellitto per Boccaccio, simile criterio di scelta?

«Castellitto per Boccaccio, perché è uno degli attori che sanno restituire l’umanità nel modo più profondo, più convincente. Io avevo bisogno di un Boccaccio molto molto umano.»

Lei ha scritto una nota di regia: “Che si realizzi nell’Italia di oggi in cui la gerarchia di cosa e di chi conta è dettata da ben altro, un film sulla vita di Dante Alighieri ha dell’inverosimile.” È stato dunque così tanto difficile realizzare questo film?

«Ma… c’è una sorta di ostilità nei riguardi di Dante perché tutti ne parlano, tutti a parole lo lodano, lo esaltano, però nel momento in cui si è trattato di realizzare questo film, io ho impiegato vent’anni a trovare un committente che mi permettesse realmente di farlo.»

“Immagino sia stato molto difficile anche riprendere l’atmosfera del tempo”

«Sì anche se io ho una sorta di predisposizione, cioè avendo fatto quei due film là (Magnificat e I cavalieri che fecero l’impresa) e avendo vinto i due premi più importanti dal Jacques Le Goff di medievistica; insomma io conosco quell’epoca abbastanza bene e poi ci siamo ispirati moltissimo agli affreschi del Duecento.»

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