Tutte le esperienze che un uomo, o un ragazzo, si trova ad affrontare possono segnarlo così tanto da farlo cambiare completamente, a tal punto che anche chi lo ama non è più in grado di riconoscerlo e anche se tenta in tutti i modi di aiutarlo a tornare quello di prima, non individuando in verità le cause di questo smarrimento, fallisce. Tutto questo capita molto spesso negli ambiti sociali in cui individui che si ritengono più “esperti” di noi tentano di sostituirsi alla nostra persona, cercando di aiutarci, senza sapere che in realtà ci fanno del male. Paradossalmente, chi cerca di darci dei consigli spesso è chi ci vuole più bene, come ad esempio i nostri familiari, che illudendosi di capirci in realtà ci fanno sentire soltanto più incompresi.

La famiglia è l’entità sociale che più di ogni altra condiziona la nostra vita, i nostri atteggiamenti, il nostro modo di pensare, il nostro approccio ai problemi e alle possibili soluzioni. Nel nucleo familiare, infatti, ogni individuo riceve una formazione mentale e caratteriale che gli viene impartita dai parenti e dalle esperienze che lo coinvolgono, ma la famiglia non è solo un nucleo educazionale, è anche una dispensa di quell’amore di cui tutti abbiamo bisogno e che è la fonte della nostra felicità. Quest’amore ha origine nei legami presenti all’interno della famiglia, i quali spesso, come è normale che sia, sono posti sotto pressione e in alcuni casi questa è talmente forte da distruggere le relazioni affettive. Un caso può essere, ad esempio, la fine dell’amore tra un padre ed una madre: che mettendo un punto alla loro relazione spezzano la propria familiarità e inevitabilmente fanno soffrire, anche se non coinvolti direttamente, gli altri membri della famiglia. Ovviamente la bellezza dell’essere umano sta nella varietà e per questo le persone reagiscono a sollecitazioni di questo tipo in modo completamente diverso l’uno dall’altro.

Tutto questo è stato ritratto alla perfezione nella rappresentazione teatrale de “Il figlio”di Florian Zeller, in cui Nicola, ragazzo di diciassette anni che frequenta l’ultima classe del liceo, si trova costretto ad affrontare la separazione tra sua madre Anna e suo padre Piero, che ha appena avuto un figlio con la sua nuova compagnia Sofia. Nicola vive da sua madre, la quale non si rende conto dei problemi del figlio fino a quando la scuola non l’avverte che, ormai da tre mesi, suo figlio non si presenta più in classe. Anna allora cerca di rivolgersi a Piero, il quale propone al figlio di andare a vivere con lui, fiducioso di poterlo aiutare a ritrovare il gusto di vivere. L’opera teatrale del drammaturgo francese Florian Zeller ha l’obbiettivo di rappresentare le incomprensioni generazionali all’interno di un nucleo famigliare, spezzato dalla rottura dell’amore fra un padre ed una madre, che genera una profonda tristezza e angoscia nel figlio. Con il tempo questi sentimenti diventeranno una vera e propria patologia.

Nella rappresentazione andata in scena il 28 Febbraio 2023 al Teatro della Pergola di Firenze, tutte queste emozioni mi sono state trasmesse a pieno grazie all’eccellente prestazione degli attori, i quali sono entrati perfettamente nei personaggi; in particolare è da segnalare l’ottima performance della coppia padre-figlio, interpretata da Cesare Bocci (Piero) e Giulio Pranno (Nicola). Il primo sembra mostrare un sincero sentimento di paternità verso il ragazzo, per cui, desiderando nient’altro che il meglio per il figlio, non può non sentirsi coinvolto dagli atteggiamenti di quest’ultimo. Provando a rimetterlo sulla retta via cerca di restare sempre positivo, ma come è normale che sia, finisce per ricadere anche lui nei sentimenti di rabbia, tristezza e malinconia. Pranno, dal canto suo, è riuscito a sintetizzare nel personaggio tutte le emozioni che può provare un diciassettenne affetto da depressione, dalla rabbia violenta all’apatia più assoluta, facendo immedesimare profondamente anche chi scrive nel suo personaggio. Insieme, i due attori, sono stati in grado di rappresentare alla perfezione quelle problematiche che, a livelli più o meno elevati, sono presenti in tutte le famiglie. Il padre, come al solito, cerca di impartire una lezione al figlio, il quale però non si sente compreso e non avendo la forza di affrontare il problema cerca la via più semplice, rifugiandosi nel silenzio e nella solitudine. Altrettanto degna di nota è la prestazione degli altri attori che con il loro contributo hanno reso l’opera di un realismo unico. Galatea Ranzi (Anna) riesce ad esprimere perfettamente il dolore e il risentimento che una madre può provare nei confronti della tristezza del figlio; Marta Gastini (Sofia) è stata a sua volta capace di rappresentare quelli che potrebbero essere i sentimenti di una matrigna, distaccata inizialmente da Nicola, ma innamorata a tal punto di Piero che finisce per affezionarsi sinceramente al figlio del compagno. Questa atmosfera racchiusa, a tutti gli effetti familiare, è amplificata dagli spazzi e dai movimenti dei personaggi ideati dal regista Piero Maccarinelli. L’intera opera si svolge infatti all’interno delle due abitazioni private della madre e del padre, i cui confini sono in un certo senso inesistenti, quasi come se il regista volesse rappresentare la continuità di sentimenti negativi del ragazzo, indipendentemente dal luogo in cui si trova.

E’ senza dubbio assai consigliabile andare a vedere l’opera “Il figlio” in quanto meritevole e soprattutto perché dà a tutti, dai più grandi ai più giovani, l’occasione di immedesimarsi in uno dei personaggi. Il pubblico presente in sala ha applaudito con molto convinzione e con calore, soprattutto i due protagonisti.

Anche se non tutti siamo (o saremo) padri, è certo che ognuno di noi, in quanto figlio, ha avuto piccoli o grandi drammi familiari che hanno segnato la propria vita.

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