Era una brumosa mattina in Baviera, quella del 20 novembre 1945, quando il giudice e presidente della corte Geoffrey LawrenceIII barone Trevethin e I barone Oaksey, nobile britannico entra nell’aula del Palazzo di Giustizia di Norimberga per processare alcuni tra i capi nazisti rappresentanti dei settori diplomatico, economico, politico e militare.

Tra questi non si riconoscono tutti i grandi esponenti della dittatura, come, ovviamente Adolf Hitler, morto suicida il 30 aprile di quell’anno nel suo bunker, o personaggi minori ma ugualmente importanti come Adolf Eichmann fuggito dalla Germania e solo successivamente riconosciuto in Argentina e riportato dall’intelligence ebraica a Gerusalemme, dove sarà processato solo nel 1962.

Gli altri tre giudici, ognuno dei quali con un sostituto, provengono dalle altre tre nazioni vincitrici della seconda guerra mondiale: Francis Beverly Biddle dagli Stati Uniti; Henri Donnedieu de Vabres francese e Iona Timofeevič Nikitčenko dall’URRS.

Per la prima volta nella storia si parla di Tribunale Militare Internazionale.

E’ grazie alle terribili testimonianze rese durante il processo, che è emersa la verità sull’Olocausto e sugli eventi che lo precedettero e ne favorirono l’attuazione, tra questi: le costruzioni dei vari ghetti sparsi nelle città europee più importati. Le fonti utilizzate furono per lo più i documenti scritti dai nazisti e ritrovati su ordine del procuratore capo americano Robert Jackson.

Perché e chi furono gli imputati di uno dei processi più famosi della storia? Prima che il processo iniziasse, vennero selezionati ventiquattro imputati, dei quali soltanto ventuno presenti in aula (gli altri tre avevano preferito trovare la morte in cella, piuttosto che assistere al processo); la domanda sul perché non venne processato anche Hitler trova risposta nei documenti: nonostante non tutti gli imputati si trovassero alla sbarra, il processo riguardava solo figure vive e arrestate, processare cadaveri e persone scappate sarebbe stato iniquo, in quanto non avrebbero potuto avvalersi di una difesa adeguata e in ogni caso la pena non sarebbe stata applicabile.

Gli imputati furono:      

  • Hermann Göring;
  • Joachim von Ribbentrop;
  • Alfred Rosenberg;
  • Wilhelm Keitel;
  • Alfred Jodl;
  • Wilhelm Frick;
  • Arthur Seyss-Inquart;
  • Fritz Sauckel;
  • Martin Bormann;
  • Ernst Kaltenbrunner;
  • Julius Streicher
  • Robert Ley (suicidato in cella);
  • Rudolf Hess;
  • Erich Raeder;
  • Walther Funk;
  • Albert Speer;
  • Baldur von Schirach;     
  • Konstantin von Neurath;
  • Karl Dönitz;
  • Hans Fritzsche;
  • Franz von Papen;
  • Hjalmar Schacht;
  • Gustav Krupp von Bohlen und Halbach.

Dopo la fine della guerra i ventiquattro imputati vennero rinchiusi in una prigione vicino alla città scelta. Inizialmente le giornate passano lente per i tedeschi; costretti a pensare ai loro crimini e alle conseguenze che avrebbero dovuto scontare. Tre dei carcerati come detto si suicidarono. Su consiglio dello psicologo che seguiva il caso, i tedeschi ebbero il privilegio di poter passare parte della giornata fuori dalla cella, discutendo tra loro e vivendo l’attesa in modo meno disumano.

La mattina del 20 novembre 1945, le ventuno guardie carcerarie si legarono con i prigionieri e si avviarono verso il Palazzo di Giustizia. Dopo l’ingresso del presidente Lawrence e la frase di rito di inizio processo:Come si dichiarano gli imputati?, a cui risposero venti Non colpevole ed un No, no (Hess era mentalmente disabile), la parola passò a Jackson; la sua arringa dà inizio al Processo di Norimberga.

L’arringa di Jackson iniziò dichiarando che gli imputati dovevano essere ritenuti innocenti sino a prova contraria, per poi mirare ai crimini compiuti dal Terzo Reich.

Il secondo a prendere parola fu il PM inglese, il quale nel suo discorso presentò una pagina di diario, quello di Hermann Friedrich Graebe, imprenditore tedesco che si trovava in Ucraina tra il ’41 e il ’44. Il 5 ottobre 1942 era presso la città di Dobno, nell’Ucraina occidentale. In quella giornata i 5000 ebrei ucraini che risiedevano a Dobno vennero uccisi e gettati in fosse comuni.

Nel corso del processo si susseguirono interrogatori e numerosi testimoni furono chiamati a raccontare le loro terribili vicende. Tra questi vi fu Anton Pachelogg, il quale raccontò di alcuni esperimenti a cui assistette nel campo di Dachau, che portarono alla morte di tutte le persone su cui erano stati eseguiti i test.

Uno dei momenti chiave, ripreso dalle registrazioni ufficiali del processo, fu una serie di orride immagini filmate dai soldati alleati durante le liberazioni dei campi: letteramente montagne di cadaveri ammassati uno sull’altro, scheletri che camminano con gli occhi spenti, forni crematori con i corpi inceneriti all’interno. Tra i più colpiti in aula ci fu Keitel, che scoppiò a piangere vedendo i bulldozer che ammassavano i corpi.

Un altro momento importantissimo che in qualche modo determinò il culmine del processo, fu rappresentato dagli interrogatori di Jackson all’imputato Hermann Göring. Durante i due interrogatori, l’ex gerarca tedesco poté parlare al popolo tedesco con fierezza, anche facendosi beffa del sistema politico statunitense. La credibilità del Procuratore Capo stava venendo meno e, in un primo momento, pensò di abbandonare il processo, per poi decidere di continuarlo isolando Göring dagli altri prigionieri, perché spaventato dall’influenza che l’uomo avrebbe potuto avere sui compagni.

Il secondo a essere chiamato alla sbarra fu von Ribbentrop. A fargli le domande fu il Pubblico Ministero inglese, che riuscì, grazie ad un’ottima oratoria, a metterlo spalle al muro.

Le successive testimonianze servirono a condannare gli altri imputati. Particolare, fu la deposizione di Speer, il quale ammise, prendendosi non pochi insulti dagli altri 20 alla sbarra, di aver provato ad uccidere Hitler all’inizio del ’45. Piano che fallì causa dell’ottima preparazione della guardia tedesca. Non si dichiarò colpevole in maniera diretta, ma fu il primo a crollare e ad ammettere le sue colpe.

L’arringa conclusiva condotta da Jackson mirò al fatto che le cause della guerra e la Soluzione Finale sulla questione ebraica non erano da attribuire al solo Hitler, ma anche le alte sfere dei gerarchi nazisti dovevano essere considerate corresponsabili di questo piano scellerato e tra loro i ventuno alla sbarra.

Gli otto giudici si sedettero, a dichiarazioni finite, per decidere pene e come attuare la pena capitale; la scelta ricadde sull’impiccagione, poiché la fucilazione era usata per i militari.

Il primo ottobre 1946 vennero pronunciate le seguenti sentenze:

MORTE

  • Hermann Göring;
  • Joachim von Ribbentrop;
  • Alfred Rosenberg;
  • Wilhelm Keitel;
  • Alfred Jodl;
  • Wilhelm Frick;
  • Arthur Seyss-Inquart;
  • Fritz Sauckel;
  • Martin Bormann;
  • Ernst Kaltenbrunner;
  • Julius Streicher;

INCARCERATI

  • Rudolf Hess, ergastolo;
  • Erich Raeder, ergastolo;
  • Walther Funk, ergastolo;
  • Speer e von Schirach, 20 anni
  • von Neurath e Dönitz, rispettivamente 15 e 10 anni

ASSOLUZIONE

  • Gustav Krupp von Bohlen und Halbach;
  • Hans Fritzsche;
  • Franz von Papen;
  • Hjalmar Schacht.

Particolare fu il caso di Göring. Il gerarca avrebbe dovuto essere giustiziato, ma nella notte prima dell’impiccagione gli venne fornita una capsula di cianuro che gli permise di decidere del suo destino.

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