Prima di leggere l’articolo, chiediamo gentilmente al lettore di chiudere un occhio sull’infrazione di una delle principali regole del giornalismo: non usare prime e seconde persone. D’altronde, com’è possibile parlare di un’esperienza così unica in modo distaccato?
Cinque anni: la durata di un percorso che ogni studente inizia appena quattordicenne, tra un misto di paura ed entusiasmo, e dal quale uscirà cresciuto e profondamente cambiato. Cinque anni che passano in fretta, tra interrogazioni e risate, per giungere alla famigerata e temutissima maturità, termine ufficioso che sostituisce nel linguaggio comune la denominazione ben più intimidatoria di “esame di stato”. L’esame leggendario di cui hai sempre sentito parlare, che al primo anno sembra ancora lontano, per poi farsi sempre più minacciosamente vicino col passare degli anni.
E così, in un batter d’occhio, arriva il tuo ultimo “primo giorno di scuola”, e capisci subito che il quinto anno sarà diverso dagli altri. I professori, infatti, esordiscono tutti nello stesso modo: “Buongiorno ragazzi, avete trascorso delle buone vacanze? Vi ricordo che quest’anno c’è la maturità…”.
Come se non lo sapessimo!!! Neanche il tempo di riprendersi dalla corsa fatta per assicurarsi un posto in ultima fila, che subito arriva questo gentilissimo promemoria. Cerchi di non pensarci, d’altronde giugno è ancora lontano… ma per quanto tu ti possa sforzare, il pensiero della maturità è sempre lì, come un puntino indelebile impresso nella mente, che è impossibile cancellare e che ti accompagna per tutto l’anno.
Arriva maggio, e ormai non puoi più scappare: questione di secondi ed escono le materie e i commissari esterni, e quel pensiero che ti sforzavi di ignorare diventa ora più concreto che mai. L’intera classe è riunita: c’è chi, stremato dall’attesa, aggiorna nervosamente la pagina del Ministero e chi invece è impegnato a pregare che la seconda prova sia solo matematica.
Finalmente nella schermata qualcosa cambia: sono uscite le materie! Il gaudio per l’assenza di fisica nella seconda prova è incontenibile, ma non c’è tempo di festeggiare. Ora inizia infatti la fase più delicata: la ricerca di notizie sui commissari esterni. La tua compagna di banco diventa Jessica Fletcher e il tuo amico si trasforma in Sherlock Holmes, detective pronti scomodare chiunque, pur di reperire qualche informazione.
I pareri che emergono sono contrastanti: “l’amico di un mio amico dice che fa tante domande”, dice uno; “il fidanzato di mia cugina dice che invece è molto tranquillo”, afferma un altro. Opinioni che lasciano il tempo che trovano, ma che almeno rappresentano un appiglio a cui aggrapparsi per allontanare la paura dell’ignoto.
Arriva l’ultimo giorno di scuola, che porta con sé gioia perché la scuola è finita; sotto il sole cocente e bagnati fino alle ossa per i gavettoni, si inizia però a sentirne già la nostalgia, soltanto ancora attenuata dalla consapevolezza che a scuola dovrai tornarci a breve.
Quella settimana, passata a ripassare, vola via. La prima prova è il tema, e non si pensi che essa non richieda strategia: c’è chi esclude a prescindere la traccia di analisi e chi punta tutto sul testo argomentativo, chi conta sulla traccia sui social e chi si è preparato venti citazioni.
Le sei ore passano in fretta, esci da scuola e sei alleggerito. Su di te grava però ancora il peso della seconda prova, la più temuta, quella per cui amici che credevi atei si rivolgono al cielo e per cui si assiste ai più originali riti scaramantici.
Il giorno dopo, quindi, sei nuovamente seduto in corridoio. Il professore consegna le prove. Ti guardi intorno e vedi le facce spaesate di chi sembra non aver mai sentito la parola “derivata” in vita sua, e quelle affrante di chi si è pentito di non aver comprato la calcolatrice grafica. Nonostante le difficoltà, consegni anche questa prova, e ti senti alleggerito. Sai che dovrai stringere in denti per un’altra settimana, fino all’orale.
Lo studio per l’orale di maturità è ben diverso da quello a cui ogni studente è abituato. I programmi sono vasti e devi essere in grado di passare da una materia all’altra senza fare confusione. Meglio stare attenti, altrimenti c’è il rischio di affermare che Pirandello è il padre della tettonica delle placche o che Einstein è un pittore impressionista!
Tra una sessione di studio e una chiamata coi compagni in cerca di conforto, arrivi alla sera prima dell’esame. Fatichi a prendere sonno, pensando a quale spunto potrebbe uscirti; ti sembra di non ricordare niente. La mattina giungi a quella porta che hai varcato così tante volte, consapevole che questa sarà l’ultima volta che lo farai, almeno da studente.
Entri nella stanza dell’esame e ti senti un imputato davanti a un tribunale. Quando inizi a parlare, però, ti accorgi che le cose studiate durante l’anno riemergono, inizi a tranquillizzarti. Quell’ora sembra un minuto; quando finisci di parlare ti alzi e ti ricordi anche di tutte le persone che erano venute a supportarti. Ora è veramente finita.
E mentre festeggi la fine di un’era, riaffiorano alla mente tutti i ricordi che hanno reso questi anni indimenticabili: le risate soffocate durante la lezione, il fremito prima della riconsegna dei compiti, le migrazioni verso il bagno dopo una verifica e le riunioni per confrontare i risultati; le partite di basket durante le ore di ginnastica, dove ti trasformavi in Michael Jordan, per poi tornare a lezione stanco e sudato; le corse per le scale per arrivare in orario in classe, sperando che il professore non abbia ancora fatto l’appello. Ripensi ai professori, che ti hanno visto entrare adolescente e ti vedono uscire, sembra strano dirlo, quasi adulto; anche loro ti mancheranno.
Ripensi a tutti i momenti e le sensazioni che rappresentano il motivo per il quale questi cinque anni non sono riducibili a un esame. E mentre sei in preda a un insieme di emozioni che è impossibile descrivere, di una cosa sei certo: che questi cinque anni, ormai, sono diventati parte di te.