L’opera autobiografica di Tennessee Williams, “Lo zoo di vetro“, al teatro della Pergola di Firenze dall’11 al 16 febbraio grazie all’abile traduzione di Gerardo Guerrieri; il dramma del celebre scrittore americano, che racconta di una famiglia divisa, un padre assente e una fragile collezione di animali di vetro.
Thomas Lanier Williams III noto come Tennessee Williams, nato del 1911 e morto nel 1983, è considerato uno dei più abili drammaturghi americani del secolo scorso; diventato famoso proprio grazie a “The Glass Menagerie“, ovvero “lo zoo di vetro” del 1944, scrive numerose opere sia in prosa che in poesia. Le opere più famose della sua carriera sono: “A Streetcar Named Desire” del 1947, “Cat on a Hot Tin Roof ” del 1955, “Sweet Bird of Youth” del 1959, e “The Night of the Iguana” del 1961, tutte opere melodrammatiche e più o meno autobiografiche. Si può capire anche grazie a una citazione di Elia Kazan, regista dei più grandi successi di Williams, quanto quest’ultimo si dedicasse a trasporre la propria storia in teatro:”Everything in his life is in his plays, and everything in his plays is in his life“, ovvero “tutto nella sua vita è nei suoi spettacoli, e tutto nei suoi spettacoli è nella sua vita”.
Dopo aver vissuto tutta la sua giovinezza in compagnia dei genitori Edwina e Cornelius, della sorella Rose, del fratello Dakin e dei nonni, tra 1929 e il 1938 Williams frequentò vari college, senza successo, e trovò lavoro all’International Shoe Company. Nel 1938 si laureò, e allo stesso tempo la sorella Rose venne rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Rose, aveva sofferto sin da giovane di schizofrenia, e nel 1943 verrà sottoposta a una lobotomia, a causa della quale vivrà il resto dei suoi giorni in uno stato di semi-assenza in un’istituto che si prenderà cura di lei. Williams, che aveva un rapporto affettivo molto profondo con la sorella, rimane sconvolto e con pesanti sensi di colpa, e per il resto della sua vita incolperà la madre dello stato della sorella . Soffrendo anche lui di attacchi di panico, e essendo secondo il padre un ragazzo debole, provava enorme timore di finire nello stesso modo.
Nell’opera “lo zoo di vetro” Williams racconta della sua infanzia e della vita che conduceva con la madre Edwina e con l’adorata sorella Rose, senza però inserire il fratello e il padre. Amanda, che nell’opera è interpretata da Mariangela D’Abbraccio, ricopre il ruolo della madre dell’autore: che da la colpa per tutte le sfortune della famiglia al padre viaggiatore che l’ha abbandonata con due figli e al figlio Tom che è sempre fuori. D’Abbraccio, celebre attrice napoletana nata negli anni ’60, riesce splendidamente a mostrare la fragilità, la cattiveria e la tristezza di una donna abbandonata dal suo amore, che si sente sola al mondo e che per disperazione continua a raccontare della sua splendente giovinezza a chiunque ascolti, con la speranza di poterla vivere di nuovo. Il personaggio di Amanda rappresenta cosa può succedere quando una donna intrappolata nelle proprie difficoltà finisce per non vedere altro che la propria prospettiva cupa, allontanando tutti quelli che la circondano.
Tom, che è sia protagonista che narratore, rappresenta Tennessee Williams; è interpretato da Gabriele Anagni, che riesce con grande abilità a mostrare al pubblico il conflitto interiore di un ragazzo che vuole scappare dall’oppressione della madre, per seguire i propri sogni, ma che tiene troppo alla sorella per sopportarne il distacco. Nel corso dell’opera viene mostrato come giorno dopo giorno Tom provi a compiacere la madre per il bene della sorella, e come, ogni volta, finisca per scappare e affogare le sue sofferenze nell’alcol, come Williams.
Il pretesto di tutta la storia è il tentativo di Amanda di trovare un marito alla figlia Laura, specchio di Rose, che possa sopportarne la timidezza e le “diversità”. Laura non è schizofrenica come Rose, ma ha invece un difetto fisico più evidente: è zoppa. La ragazza è interpretata da Elisabetta Mirra, che mostra le difficoltà di un asociale giovane donna che cerca di vivere una vita normale. Laura, che ha abbandonato gli studi a causa della costante ansia di essere giudicata da i suoi coetanei, non fa altro che vivere nella propria immaginazione, passando giornate intere a lucidare la sua collezione di rari animaletti di vetro. Animali che rappresentano la fragilità del suo corpo e della mente della ragazza da cui è ispirata.
Ultimo personaggio a comparire nell’opera è Jim, un amico di lavoro e di liceo di Tom, che Amanda chiede di invitare a cena per fargli conoscere la figlia. Jim, interpretato da Pavel Zelinskiy è un ragazzo ambizioso, che al liceo prometteva avere grande successo, ma che è finito a lavorare in fabbrica come Tom. Sono tra le più commoventi le scene quelle nelle quali Jim e Laura vengono lasciati da soli a parlare: finalmente pronta ad aprirsi al mondo, Laura parla con Jim e gli mostra le sue creature di vetro alla luce di una candela; la musica del locale che si trova dall’altra parte della strada entra con il vento leggiero dalla finestra aperta e Mirra e Zelinsky ballano insieme. I due attori mostrano splendidamente la tenerezza dell’ammirazione che Jim confessa di provare per Laura, e l’innocenza con la quale Laura accetta il loro primo bacio. Purtroppo la felice illusione viene velocemente spezzata: se prima si era rotto l’unicorno di vetro caduto per terra, ora tocca al cuore della giovane; Jim è fidanzato da ormai un anno e non la potrà mai amare.
Tom alla fine dell’opera abbandona casa per non tornare mai più, ma continuerà a sentire la mancanza della povera sorella che ha lasciato; la memoria di lei e dei suoi fragili animali da compagnia lo tormenteranno come il senso di colpa di Williams.
La storia di questa piccola realtà familiare si svolge completamente in una scena composta da una modesta sala da pranzo. La scenografia di Pier Luigi Pizzi riesce, nella sua semplicità, a non distrarre dalla scena e allo stesso tempo conferire quel sentimento di “dolce casa” che tutti i personaggi sono ossessionati a mantenere. Lo sguardo costante di una foto del padre sulla scena è una perfetta rappresentazione del sentimento di aspettativa e oppressione che quest’ultimo, anche se ormai lontanissimo, ha sulla vita della famiglia. La regia e i movimenti di scena, sempre di Pizzi, mostrano spazialmente l’avvicinamento e l’allontanamento emotivo dei familiari e la vicinanza quasi soffocante nella quale si trovano intrappolati. Le musiche di Pier Sperduti aiutano a trasmettere ancora di più il “loop” di serenità apparente nella quale il protagonista si sente intrappolato, con la continua ripetizione degli stessi dischi di musica classica scelti dalla sorella, prima appartenuti al padre. Per far risplendere a dovere il prezioso zoo di vetro della giovane interviene un abile utilizzo di luci da parte di Pietro Sperduti, che fa brillare in tutta la sua gloria anche un piccolo unicorno. Con luci soffuse provenienti dalla finestra e candele dal lume fioco questa stessa ambientazione riesce a mostrare il giorno, la notte e l’intimità di un ballo alla musica dolce di una sera primaverile.
Grazie alla Pergola e al Teatro Stabile del Veneto questa produzione di uno dei più grandi capolavori teatrali del XX secolo è riuscita a fare onore alla storia commovente di una sorella dalla mente frammentata e di un fratello che non ne ha mai superare la perdita.