Il 28 novembre 1757, nasceva a Londra William Blake, celebre poeta, incisore e pittore inglese a cui la fama giunse postuma. Ricordiamo oggi questo nome come lode all’imperituro retaggio che l’artista ci ha lasciato, quanto mai corrente per noi ma inattuale per la società che lo accolse, o per meglio dire, respinse. Di fatto, le opere di Blake parlavano ad un pubblico che l’avrebbe compreso solo con l’avvento del Romanticismo, un movimento letterario che cercherà di scardinare la rigida razionalità illuminista mediante l’esplorazione dell’irrazionale e del sublime.

Blake nacque in una famiglia borghese, il che gli permise di avere un’ottima istruzione, anche se non frequentò mai la scuola: studiò, infatti, a casa con la madre Catherine Wright Armitage Blake fino a quando nel 1772, da adolescente, iniziò un apprendistato di sette anni presso la bottega dell’incisore James Basire. Ovviamente egli non era l’unico allievo di Basire e le inimicizie con i suoi compagni si palesarono quasi subito, così trascorse gran parte del suo tempo ad esercitarsi nell’incisione (ed approfondire lo studio dell’arte medievale) nell’abbazia di Westminster. Una volta terminato il periodo di apprendistato, nel 1778 Blake si iscrisse alla Royal Academy of Arts di Londra, dove ebbe come maestro il pittore svizzero Johann Heinrich Füssli, dalla cui tecnica pittorica visionaria ed onirica fu fortemente influenzato. Il periodo trascorso tra le mura dell’accademia fu proficuo per i tecnicismi, ma estenuante per i concetti: Blake criticò pesantemente questa scuola che abbandonò nel 1784 per aprire una propria tipografia dove lavorò per il resto della sua vita.

Blake condusse una serena e sincera vita coniugale: Catherine Blake, consorte dal 10 agosto 1782, lo accompagnò fino alla morte come primo ed unico vero amore. Dopo le nozze, Blake le insegnò a leggere ed a scrivere oltre all’arte dell’incisione, così ch’ella potesse capirlo e persino aiutarlo, cosa non banale per un’epoca in cui le donne non potevano che vivere della carriera degli uomini, senza mai interferirne, né tantomeno sottrarsene. Blake era un uomo erudito che per tutta la vita lottò contro ogni tipo di discriminazione, da quella razziale a quella sessista, e contro ogni tipo di oppressione, prima tra tutte la schiavitù, che egli aspramente criticava.

Fin da bambino raccontava di aver avuto visioni e ricevuto messaggi, forse di natura angelica. Una condizione che lo accompagnò per tutta la vita e che fu per lui significante prima oltre la semplice apparenza delle cose. Blake, infatti, affermava di interagire con una realtà metafisica, percepibile solo attraverso l’immaginazione, che per lui era uno strumento in grado di farci intuire quelli che sono i princìpi fondamentali dell’universo, come l’infinito. Blake multiforme, è stato definito un visionario, poeta maledetto, profeta, ma anche filosofo; la sua archè sta nell’infinito intrinseco in ogni cosa, nell’armonia di tutto ciò che ci circonda che è individualmente l’infinito stesso. Quest’armonia è dovuta allo scontro eterno tra gli opposti, quei “complementary opposites” che reciprocamente si completano. Questa visione è di notabile somiglianza con il principio del divenire eracliteo, anche se in Blake non leggiamo di un equilibrio dualistico ma di una intima ed indissolubile dipendenza dei contrari. L’innocenza dell’infanzia e l’esperienza della maturità, la forza della tigre e la mitezza dell’agnello non sono altro che due facce di una stessa medaglia: citando lo stesso Eraclito, “l’uno vive la morte dell’altro, come l’altro muore la vita del primo”.

Per riuscire a descrivere meglio ciò che albergava nella sua mente, Blake coniugò parole ed immagini, letteratura ed incisioni, in una sorta di “ut pictura poesis”, illustrando numerosi dei suoi scritti, in particolare le sue due raccolte di poesie “Songs of Innocence”, pubblicata nel 1789 (prima della rivoluzione francese), e “Songs of Experience”, apparsa nel 1794. Se la prima raccolta è incentrata sull’innocenza dell’infanzia (rifacendosi al mito del “bon sauvage” di Jean-Jacques Rousseau), la seconda è invece caratterizzata da quel pessimismo provocato dalla delusione del poeta per il fallimento degli ideali che avevano animato la rivoluzione francese, di cui era stato un fervente sostenitore, e dalla disillusione provata con l’avvento del Terrore.

La fiducia riposta da Blake nei princìpi e negli ideali rivoluzionari è testimoniata dalla pubblicazione del componimento poetico  “The French Revolution”, uscito nel 1791. Sembra, inoltre, che Blake fosse solito indossare il “bonnet rouge”, proprio per simboleggiare il suo sostegno ai rivoluzionari francesi.

“Songs of Innocence” e “Songs of Experience” appartengono alla prima fase della produzione di Blake e vennero pubblicate poco prima della stesura della sua opera maestra “Il matrimonio del cielo e dell’Inferno”, una raccolta di aforismi e prose evocative, quasi profetiche sul suo “Viaggio nello ‘nferno”, come allegoria all’interpretazione della realtà tramite i cinque sensi, intorno al 1790 – 1793, e seguita dal “Libro di Urizen” del 1794, che invece presenta al pubblico una teologia personale ed oscura. Tuttavia col passare degli anni, le parole di Blake andranno scemando: forse aveva già detto ciò che riteneva importante dire o magari era solo amareggiato dall’insensibilità dei suoi coevi. Quel che è certo, è che più esauriva l’ars scribendi, più sentiva l’esigenza di esprimersi attraverso l’arte. Con l’obbiettivo di incrementare il suo operato, Blake lavorò all’illustrazione di opere di grandi scrittori, dal “Paradiso Perduto” di John Milton a “Le Notti” di Edward Young, fino alla “Divina Commedia” di Dante Alighieri, anche se non riuscirà a portare a compimento quest’ultimo lavoro prima della sua morte sopravvenuta il 12 agosto 1827.

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