Attorno alla Shoah Fotografie e memoria è la mostra inaugurata il 25 Gennaio a Palazzo del Pegaso a Firenze, in Via Cavour, visitabile gratuitamente fino al 4 Febbraio. L’esposizione fotografica è stata organizzata del Consiglio Regionale della Toscana e curata da Paola Zamboni. Gli orari dello spazio espositivo sono i seguenti: dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00. Il sabato dalle 10.00 alle 13.00.
Le suggestive foto esposte sono state realizzate da diversi autori tra cui Vincenzo Balocchi, un fotografo fiorentino che divenne dirigente dello stabilimento Fratelli Alinari e che successivamente fondò l’Istituto Fotocromo Italiano. Appartiene a questo autore anche la fotografia simbolo della mostra. Vi sono poi scatti di Walter Genewein che ci permettono di dare un diretto sguardo all’interno del ghetto di Lodz, in Polonia. Le sue sono le uniche foto a colori dell’esposizione.
Il messaggio della mostra
Il punto centrale attorno a cui l’esposizione si sviluppa è sicuramente il concetto del prima e dopo la strage. Lo scopo è, infatti, quello di far riflettere, senza esporre diettamente la crudità dell’accaduto, su quanto profonda e inguaribile sia la ferita che la Shoah ha causato. L’idea è dunque quella di mostrare, ciò che la crudeltà ha tolto a molti esseri umani: bellezza e gioia di vivere, spensieratezza, stabilità e dignità. Attraverso i volti delle persone colte nella loro quotidiantià, la mostra tenta di aprire gli occhi al visitatore su quanto sia in realtà instabile tutto ciò che noi crediamo abituale, facendo luce su come la storia possa ripetersi. Il Presidente dell’Assemblea Regionale Antonio Mazzeo afferma infatti: “Una mostra che afferma con forza che la tragedia che è accaduta può accadere ancora. Quello che ripeto ai ragazzi delle scuole è di ricordare le tragedie del passato, di non voltare le spalle alla storia. […]Queste fotografie alimentano una memoria che non si fonda sul disgusto e il rifiuto per la disumanità di quanto accaduto”.
Osservando i ritratti eposti è naturale che il pensiero fugga verso il dopo di queste persone: della bambina immortalata da Balocchi, della giovane sposa algerina o del gruppo di giovani ragazzi sulla nave Kedmah che, nel dopoguerra, condusse la popolazione ebraica in Palestina. Difatti questo è un altro scopo della mostra: restituire l’umanità tolta alle vittime di questa tragedia. A questo proposito il presidente della Fondazione Alinari Giorgio Van Straten spiega: “Questa mostra espone le foto che precedono e seguono la Shoah, ma non mostra nulla dei campi. È la vita che conta, non la morte: chi è stato sterminato non è una vittima astratta e distante, ma un uomo, una donna, un bambino ai quali è stato sottratto il diritto a continuare la propria esistenza. E chi è riuscito a salvarsi non è solo il testimone di ciò che è stato, ma il futuro che è riuscito a conquistarsi e a realizzare. Questo ci dice la mostra: guardate cosa è stato sottratto al mondo. Non numeri, ma persone“.
La mostra propone dunque un vero e proprio percorso attraverso qualcosa di più intenso della “semplice” storia: attraverso emozioni vive e volti scavati che parlano di tutta la violenza e la offerenza passata. La fotografia non è forse l’emblema della memoria? Gli scatti di questi autori permettono ai volti di andare oltre le leggi del tempo. La stessa Paola Zamboni, curatrice della mostra, parla del suo personale intento :“Raccontare la Shoah in un percorso espositivo che sia in grado di evocarla senza entrare nei campi di sterminio, restando nelle immediate vicinanze dell’orrore. Tale è il proposito di questa selezione fotografica: muoversi attorno alla Shoah, partendo dalla considerazione che la ‘soluzione finale’ avvenne nella cancellazione del tempo e dell’uomo. Diviene allora necessario per meglio capire, colmando vuoti e assenze, cercare il prima, l’immediatamente prima e il dopo di chi visse e si trovò a subire quel periodo buio della storia. E lo si fa con quelle immagini che resistono e, attraversando il tempo, portano alle nostre coscienze turbate una loro incontrovertibile verità. Sappiamo, come direbbe Roland Barthes, che la catastrofe è già accaduta ed ogni fotogramma porta con sé una parte di quella catastrofe. Allora interrogheremo sommessamente le immagini con amore e pietà a cingere con la braccia ciò che è morto”.