E’ incredibile come in pochi decenni, il concetto di sostenibilità, emerso negli anni 80 in seno all’Onu e poi sdoganato dalla Conferenza di Rio del’92, sia diventato tra i più discussi del 21esimo secolo. Moltissime infatti le manifestazioni tra cui la recentissima “FridaysForFuture” (venerdì 15 marzo 2019), durante la quale numerosi studenti hanno manifestato contro i cambiamenti climatici, vedendo in Italia e Francia il maggior numero di raduni. Ma cosa si cela veramente dietro le quinte di questa parola diventata ormai così famosa?

Sostenibilità deriva dal Latino “ sustinere “ variegatissima negli usi e nei significati, questa parola evoca un’immagine fondamentale di rara forza e bellezza: il tenere da sotto; così come il ponte è sostenuto dalla silenziosa fatica dell’arco e dei pilastri durante lunghi periodi di tempo, la sostenibilità si definisce appunto come la capacità di un sistema o processo di resistere indefinitamente nel proprio contesto.

Nelle scienze ambientali ed economiche, per sostenibilità si intende la condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri.

Il concetto di sostenibilità, rispetto alle sue prime versioni, ha fatto registrare una profonda evoluzione che, partendo da una visione centrata preminentemente sugli aspetti ecologici, è approdata verso un significato più globale, che tenesse conto, oltre che della dimensione ambientale, di quella economica e di quella sociale.

Ma per capire meglio questo concetto, soffermiamoci su come l’ambiente, l’uomo e la sostenibilità si sono evolute nel corso della storia con l’avvento delle nuove tecnologie e l’utilizzo di nuove fonti di energia.

Il primo passo fondamentale in questa dinamica risale a  circa 8000 anni fa, con la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura. E’ sorto così il primo processo sistematico finalizzato ad un migliore sfruttamento delle risorse naturali. L’agricoltura rese possibile per la prima volta l’espansione dell’uomo nei continenti,  sviluppando attività come la coltivazione e l’allevamento.

 La nascita di città, civiltà e la suddivisione in classi sociali fu inevitabile conseguenza della strada che il genere umano aveva imboccato, sempre più indirizzata verso una vita sedentaria.

Differentemente dall’età moderna, in questo periodo le persone erano “religiosamente” consapevoli delle loro interazioni sull’ambiente e la maggior parte delle società tradizionali furono il risultato di un lungo processo di coevoluzione tra piccoli gruppi di persone e il loro ambiente naturale. Gran parte della produzione agricola era destinata esclusivamente al consumo personale, e  la quantità di  terra che ogni famiglia poteva coltivare era limitata dalla forza  lavoro umana ed animale a disposizione.

L’avvento dell’era moderna circa 500 anni fa in Europa e la sempre maggiore laicizzazione della visione del mondo, crearono il contesto per una dinamica tra esseri umani ed ambiente naturale strumentale e completamente nuova. La rivoluzione industriale (fine 1700) portò alla quasi totale sostituzione del lavoro umano e animale con quello delle macchine alimentate da carbone, gas e petrolio. Una sempre maggiore produttività ed il conseguente  spostamento di ingenti masse di persone verso centri urbani industrializzati, determinò una radicale separazione tra società ed ecosistema.

Questa rivoluzione ha determinato un impatto sul pianeta senza precedenti; le attività industriali umane, per la prima volta nella storia, sono diventate la prima causa di cambiamento dell’ecosistema (biodiversità, clima e acidità degli oceani), trasformando così nel corso di pochi decenni  quelle che erano “tante piccole società in un grande pianeta”, in una “gigantesca società globale in un piccolo pianeta”. 

Gestire in modo sostenibile e non essere gestiti dalla globalizzazione dell’ ecosistema sociale è diventato dunque uno dei più grandi temi del 21esimo secolo.

Per affrontare questo problema è ormai noto quanto sia  importante considerare il concetto di  sostenibilità, non relativo alla proprietà di un singolo aspetto, bensì caratteristica intrinseca di un sistema complesso, formato da più parti che interagiscono tra loro.

Ad  esempio una macchina elettrica non può essere considerata di per sé sostenibile, se per generare la corrente elettrica è necessario importare e bruciare il carbone proveniente dall’altra parte del pianeta.

Il problema dell’uomo è sempre stato pensare separatamente, come singoli individui o al massimo come stati invece che come un’unica società.

Le nostre principali istituzioni utilizzano sempre lo stesso approccio analitico, basato su modelli che consistono nello scomporre il problema in parti più semplici per analizzarle ed ottimizzarle,  pensando che se tutte le parti stanno funzionando, anche l’intero sistema funzionerà. L’ottimizzazione delle singole parti è un fattore di fondamentale importanza nei sistemi relativamente semplici, ma in sistemi complessi come un’intera economia o un intero pianeta non è sufficiente.

― Albert Einstein

Differentemente dai tempi antecedenti la rivoluzione industriale, in cui avevamo una scarsità di merci con un’abbondanza di materie prime, adesso ci ritroviamo in un mondo ricco di prodotti in eccesso, ma povero di risorse naturali.

Queste dure parole attribuite al condottiero nativo americano Toro Seduto riescono tristemente a rendere l’idea di quanto l’uomo sia spesso accecato dall’apparenza e dall’utile immediato, dimenticandosi degli impatti delle sue azioni sulle generazioni future.

Per evitare dunque un collasso economico diventa necessario spostarsi da un’economia lineare, caratterizzata da “ prendi, usa e getta” ad una circolare, basata sul riutilizzo efficace di materiali ed energia. Sviluppare un’economia circolare, richiede diversità ed interconnessione tra molteplici sistemi e processi, in modo tale che quelli che per alcuni sistemi risultano scarti, possano diventare risorse per altri e viceversa.

Calandosi su un paradigma di conservazione ambientale, l’approccio tradizionale delle nostre istituzioni non può quindi più funzionare in un era dove l’attività industriale è diventata parte integrante e fulcro del cambiamento di tutti gli ecosistemi. La gestione dell’ecosistema non può più essere considerata come un aspetto collaterale a se stante, ma deve diventare parte integrante di tutta l’economia mondiale.

Certo segnali incoraggianti ce ne sono sia a livello globale che di singoli paesi, come per esempio l’aumento di servizi basati sul prestito/noleggio e sul riciclaggio, volti ad una non indifferente riduzione della sovrapproduzione. Purtroppo il tempo di agire è limitato e il cambiamento culturale è sempre quello più lungo e complicato.

Riusciremo quindi ad uscire da questa “tossicodipendenza” di produrre e consumare spasmodicamente, comprendendo il problema, adattandosi ai cambiamenti e mitigandone gli effetti; oppure tutta l’umanità collasserà come gli antichi abitanti dell’isola di Pasqua?

Paradossalmente una risposta può non venire dal senso di equità sociale, rispetto per il pianeta o giustizia nei confronti delle future generazioni, ma proprio dall’ipocrita interesse e dal perverso meccanismo economico. In un piccolo pianeta con risorse limitate è solo l’utilizzo efficace e rinnovabile delle risorse che può portare più profitti e competitività durevole. Sempre più società si stanno muovendo e hanno già fatto questa svolta “etica” e di “responsabilità sociale” nei loro bilanci e nella loro strategia.

Come dai  primordi della vita sulla terra, l’evoluzione, perché è di ciò che stiamo parlando, resta per tutti la sola via per la sopravvivenza; l’economia stessa dovrà evolversi adattandosi a risorse sempre più limitate, affinché essa stessa, tramite l’uomo possa vivere.

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